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Il 28 luglio abbiamo esaurito le risorse naturali disponibili per l’anno corrente. L’Earth Overshoot Day ci segnala il giorno in cui la richiesta umana supera ciò che la Terra può offrirci, mantenendo l’ecosistema in equilibrio. Insomma, dal 29 luglio siamo in debito. Questo significa che per i prossimi 5 mesi sottrarremo risorse “future”, privandone le prossime generazioni.  

Negli ultimi anni si parla di sostenibilità quotidianamente, e i soggetti più vari vengono chiamati a farsene carico. In Italia, il 69% delle aziende ha previsto un piano di sostenibilità, il 37,8% ha già avviato investimenti green. Tuttavia, visti i dati sconsolanti sul cambiamento climatico, possiamo chiederci: ha ancora senso parlare di sostenibilità nei termini attuali? 

Christian Schmidkonz, professore alla Munich Business School, ritiene che la sostenibilità sia morta. In un articolo provocatorio sostiene che “sostenibilità” significhi per molti impedire il deterioramento della situazione attuale che tuttavia è già grave oltre ogni limite. La prospettiva deve quindi cambiare, da un approccio sostenibile ad un approccio rigenerativo: le aziende non possono più limitarsi ad evitare i danni ambientali ma anche riparare i danni causati dall’attività economica negli ultimi secoli. Patagonia, pioniere tra i brand consapevoli, ha eliminato il termine “sostenibilità” dal suo vocabolario aziendale proprio per distanziarsi da un impegno troppo “di facciata”. 

Tra gli obiettivi più comuni che le aziende si pongono c’è la carbon neutrality. La neutralità di carbonio è uno stato per cui le emissioni nette di anidride carbonica sono pari a zero. Si raggiunge solitamente grazie a interventi di rimozione – nei casi più comuni attraverso la piantumazione di alberi. Per Schmidkonz la neutralità non fa altro che mantenere il disequilibrio odierno. Significa continuare a consumare le risorse di 1.7 Terre ogni anno. Ciò che auspica è dunque il passaggio ad una produzione carbon-negative, che rigeneri ciò di cui l’uomo si è appropriato senza averne diritto. 

Un modello citato ad esempio di questa “imprenditoria moderna” è il motore di ricerca Ecosia. Gran parte dei suoi ricavi pubblicitari viene impiegata per finanziare progetti di piantumazione. Ciò che differenzia questa misura da altre simili è la scala: di media, viene piantato un albero ogni 50 ricerche; in altre parole, gli utenti rimuovono dall’atmosfera 1kg di anidride carbonica con ogni ricerca. A confronto, la CO2 emessa dal funzionamento dei loro server è insignificante. In aggiunta, la scelta di Microsoft come provider è indicativa: entro il 2050 l’azienda ha intenzione di rimuovere tutta l’anidride carbonica mai emessa, dalla sua fondazione ad oggi. 

Possiamo condividere o meno le ragioni di Schmidkonz ma sicuramente possiamo essere concordi sulla necessità di un impegno reale e lungimirante. Va ricordato che la sostenibilità si compone di più dimensioni: a quella ambientale si affianca quella sociale, che assicura un’equa distribuzione del benessere. Le aziende hanno sempre più capacità – e volontà – di azione quando si tratta di migliorare la qualità della vita delle persone. In questi casi, la dimensione è spesso territoriale perché bisogni e desideri mutano di luogo in luogo. Questa scala ridotta non depotenzia gli interventi di rigenerazione o di attivazione sociale, anzi li rende su misura per la comunità di riferimento. Per questo l’impatto può essere davvero significativo, con risvolti positivi nel “qui ed ora” ma con una adattabilità che li rende rilevanti anche nel lungo periodo.  

Che ruolo dunque per i brand, per essere rilevanti in queste due dimensioni? Se è vero che servono sforzi grandi e consistenti per lavorare ad una rigenerazione ambientale, nel caso di una sostenibilità sociale è il caso di dire tante piccole azioni possono produrre un grande cambiamento.

 

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PER APPROFONDIMENTI:

Christian Schmidkonz, Sustainability is Dead, Munich Business School

Overshoot Day website

Caterina Maconi, Imprese italiane e green transition: il 38% ha già fatto investimenti sostenibili, La Repubblica

Il 69 per cento delle aziende italiane ha un piano di sostenibilità, Business Weekly

Ecosia website

Photos by Thomas Richter, Mike Marrah, Kasturi Laxmi Mohit