In passato, nello sviluppo urbano delle nostre città, ha prevalso un modello di progettazione dall’alto verso il basso. I quartieri, gli edifici e gli spazi pubblici sono spesso stati progettati senza tener conto delle diversità, della cultura e dei bisogni delle comunità che li vivono.

Un approccio, che trovava in Le Corbusier la sua guida teorica e nella Carta di Atene la rigidità di regole e disposizioni che -in alcuni casi – ha reso le città inospitali e acuito le disuguaglianze al loro interno.

Per certi versi opposto è invece l’approccio dell’antropologa e attivista Jane Jacobs. Jacobs credeva che le città fossero “organiche, spontanee e disordinate”. Prediligendo, concettualmente, una città a misura d’uomo. In cui i nuclei sociali dell’isolato o del quartiere fossero centrali nello sviluppo cittadino. Che le strade tornassero ad essere delle persone, non delle auto. Due approcci, due estremi che tendono ad acuire diverse problematiche.

Un approccio esclusivamente dall’alto, infatti, può annullare il carattere locale delle comunità. Mentre un approccio esclusivamente dal basso può risultare frammentario e inefficace nel generare una città funzionale.

Se è tempo di ri-generare le nostre città, per renderle più vivibili, eque e inclusive, allora bisogna prediligere un approccio che stia al centro dei due estremi.

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La co-creazione e i suoi vantaggi

Un approccio sinergico fra top–down e bottom-up può invece permettere la nascita di virtuose collaborazioni fra amministrazioni, imprese private e comunità di cittadini. Che si tratti di grandi interventi strutturali o di piccoli progetti di rigenerazione, la collaborazione fra tutti gli stakeholder cittadini è l’unica via percorribile per migliorare le nostre città.

Questa sinergia si trasforma in co-creazione quando il cittadino viene considerato come portare di conoscenza. Quando viene ascoltato, interrogato e reso partecipe dei cambiamenti che investiranno il luogo in cui vive.

Sono numerosi gli esempi di co-progettazione e dell’utilizzo di un approccio misto nel cercare di rendere le città, oltre che più funzionali, anche più vivibili, sostenibili e in grado di rispondere alle necessità delle persone.

A volte si tratta di grandi progetti che uniscono la dimensione sociale all’ingegneria. È il caso della Multiprogram Ship, un progetto comunitario che si inserisce nel difficile contesto delle favelas di Caracas. L’edificio integra tecnologia e tradizioni locali in un approccio sostenibile. Un risultato diretto del processo partecipato di progettazione. Oggi l’edificio è un luogo di cultura, sport e condivisione che si integra perfettamente nel sistema di mobilità della Favela.

A Londra, il progetto Making Places ha puntato sul coinvolgimento di artisti, cittadini e architetti per rimodellare 20 siti del quartiere Waltham Forest. I luoghi coinvolti nella riprogettazione sono stati parchi, vicoli, muri scuole e biblioteche. L’obiettivo è stato quello di creare interventi a lungo termine che contribuiscano a sostenere l’impegno delle comunità locali nei confronti dei vari paesaggi del quartiere.

Diverso ancora è invece l’esempio di co-creazione degli spazi urbani avvenuto nella città di Jhenaidah, in Bangladesh. Nel corso degli anni l’espansione urbana aveva ridotto progressivamente l’accesso al fiume Nobogonga. Che risultava oltretutto inquinato e pericoloso. Un’organizzazione locale auto-attivata ha deciso di migliorare l’area. Il progetto si è sviluppato attraverso il dialogo fra architetti, amministrazione e comunità. Piccoli e accessibili interventi hanno permesso di trasformare il lungo fiume, migliorare l’area e ripristinare la biodiversità del luogo. Gli architetti hanno ascoltato i bisogni delle fasce più deboli della comunità – come anziani, bambini e disabili – cercando di soddisfare i loro bisogni. Il successo di questo progetto sta proprio nella fase di progettazione e ascolto che ha permesso di rispondere alle necessità della popolazione locale.co-housing co-creazione brand urbanism amsterdam

Il progetto EnBloc, un complesso residenziale ad Amsterdam, ha coinvolto nella progettazione i futuri residenti. Che hanno potuto definire i propri bisogni sia negli spazi privati che in quella della collettività. Attraverso un sistema di unità di 30 o 50 mq, collegate sia verticalmente che orizzontalmente, si è consentito ai residenti di variare le dimensioni delle case in base alle loro esigenze. Inoltre, il progetto, includendo direttamente i residenti nella progettazione, ha anche aumentato l’armonia sociale del nuovo quartiere: “ti trasferisci da qualche parte dove conosci i tuoi vicini da cinque anni. Questo elemento di co-creazione nel processo di progettazione crea coesione sociale. Per quanto mi riguarda dovrebbe essere obbligatorio nei progetti di nuova costruzione”.

Che si tratti quindi di una costruzione ex novo, di re-immaginare e re-inventare la propria città o i luoghi che si frequentano, il mix fra bottom–up e top-down sta diventando un elemento imprescindibile nel miglioramento – anche sociale e comunitario – delle nostre città.

Agire sugli spazi, sugli edifici, sui quartieri o sulle città significa agire sulle comunità che li vivono. Nell’agire sulle comunità, dunque, è necessario prima di tutto ascoltarle.

 

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Per scoprire di più:

Co-creation of Urban Spaces by the Nobogonga River

City making doesn’t have to be top down vs bottom up, The Architectural Review

Top-Down and Bottom-Up Urban Planning: A Synergetic Approach Arch-Daily

What Is Co-Creation in Architecture and Urban Planning? Arch -Daily

Participatory Architecture: Community Involvement in Project Development Arch Daily

Making Places