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Nelle città contemporanee, il tessuto urbano e la morfologia degli spazi sono in costante evoluzione. Da un lato, la crescita demografica spinge verso una maggiore urbanizzazione ed espansione.

Dall’altro, invece, sempre più frequentemente si assiste all’aumento di spazi sottoutilizzati.

Spazi che, per le persone che vivono le città, ricoprono un ruolo puramente transitorio o di consumo. In cui le occasioni di socialità e interazione sono pressocché nulle. Rendendo quegli stessi spazi privi di identità. L’antropologo francese Marc Augé li ha definiti “non luoghi”.

Nel cercare di rendere una città più inclusiva, accessibile, equa e viva, si possono rendere questi “non luoghi” che dividono, questi spazi anonimi, luoghi che uniscono?

La risposta è sì. Come? Attraverso una pratica chiamata Placemaking.

Il Placemaking riutilizza i “non luoghi”, residui urbani, restituendoli alla cittadinanza, creando nuove possibilità di interazione e nuove forme di socialità.

Secondo la definizione del PPS (Project For Public Spaces) il Placemaking è un’operazione visionaria, funzionale, inclusiva e adattabile, guidata dalla comunità.

Essendo multidisciplinare, il Placemaking può essere svolto in diversi modi. Ciò che importa, in un intervento di rigenerazione urbana definibile di Placemaking, è la collaborazione attiva fra brand, amministrazioni e cittadini. Ovvero, fra tutti gli attori coinvolti nel cambiamento delle città.

Quando questo accade il Placemaking si evolve nel Brand Urbanism focalizzando ancora di più la propria visione su quella parte dell’attività di rigenerazione urbana che è funzionale all’attivazione e/o riattivazione delle comunità locali.

D’altronde i Brand si occupano principalmente di relazioni (senza le quali un Brand decadrebbe in un Marchio/Logo) e il loro contributo al Placemaking non si deve limitare al fornire risorse economiche. Ma può e deve estendersi nell’ambito della costruzione di relazioni significative. L’unica differenza è che nel caso del Brand Urbanism non si tratta di costruire solo buone relazioni tra il consumatore e il Brand ma relazioni tra pari, tra cittadini e fra tutti quegli stakeholders dai quali dipende il miglioramento della qualità della vita sul territorio di prossimità.

Si può fare Placemaking attraverso opere di grandi dimensioni che prevedono un’attenta progettazione. È il caso del celebre Superkilen, di cui abbiamo già parlato, o dell’High Line Park di New York.

Altre volte invece, è possibile creare luoghi inclusivi anche con piccoli interventi temporanei, a basso costo e di immediata realizzazione.

Utilizzando con creatività gli strumenti dell’urbanistica tattica o dell’agopuntura urbana. Di seguito, qualche esempio di Placemaking realizzato con diverse modalità.

 

CWLane Reading Space

 

Una piccola biblioteca modulare realizzata con una serie di gradini e piattaforme, ispirati al paesaggio della città di Hong Kong. CWLane Reading Space è un progetto che mira a rivitalizzare un piccolo spazio pubblico inutilizzato, creando un nuovo punto di ritrovo per la comunità e diffondendo cultura. Non solo quella che si può assimilabile attraverso la lettura, ma anche la cultura del riuso sia dei luoghi che dei libri.

La scelta di puntare sulla creazione di un luogo per la lettura nasce da una discussione condotta attraverso il coinvolgimento della popolazione. Che ha poi partecipato direttamente all’assemblaggio della struttura in legno e donando i libri usati.

Il colore rosso e il motivo geometrico bianco utilizzati per il progetto intendono catturare l’attenzione dei passanti e invitarli a scoprire e utilizzare questo piccolo spazio nascosto.

Il progetto dimostra come è possibile, attraverso la creatività e l’ascolto della cittadinanza, riutilizzare luoghi in disuso per creare nuovi ambienti sociali e inclusivi. Un progetto facilmente replicabile in tante altre città.

 

La WaterSquare di  Benthemplein (Rotterdam) o “Piazza d’acqua”Water Square Rotterdam

Da luogo inutilizzato a piazza sociale, nonché strumento per combattere gli effetti del cambiamento climatico.

La “piazza d’acqua” di Benthemplein, a Rotterdam, è stata progettata e realizzata per essere un luogo di socialità. Ma è anche un sistema di raccolta dell’acqua piovana. E combattere gli effetti delle sempre più frequenti “bombe d’acqua”.

Per la realizzazione e la progettazione sono stati effettuati tre incontri con la popolazione del quartiere. Gli abitanti sono stati chiamati in causa nell’immaginare la nuova piazza. La volontà della cittadinanza è stata quella di creare una piazza che fosse anche un luogo di socialità, con tanto verde e spazio per l’interazione sociale.

Il che rende la piazza Benthemplein è uno degli esempi più intelligenti di Placemaking.

La Water Square  è composta da tre vasche che raccolgono l’acqua piovana. Due vasche poco profonde che si riempiono durante le precipitazioni, e una terza vasca più profonda che si riempie solo in caso di pioggia costante o violenta.  Il bacino centrale, solitamente vuoto, serve come piazza per praticare vari sport, o è stata utilizzata come teatro all’aperto, disponendo anche di gradinate per il pubblico. Quando invece il bacino/piazza si riempie, l’acqua (filtrata) crea un piccolo lago artificiale che aumenta l’attrattività e la bellezza della piazza.

SOS – Seating for Socializing

SOS Seating for Socializing

Qual è il potenziale di un solo metro cubo?

SOS è stato un progetto, una ricerca che mirava a coinvolgere le persone in attività di riattivazione dello spazio pubblico sottoutilizzato. Il progetto si è basato su tre caratteristiche fondamentali. Flessibilità, compattezza e socialità. Una scatola di metallo è piazzata in una piazza, contenente 27 cubi bianchi di polielitene della dimensione di un metro cubo, capaci di illuminarsi nelle ore serali.

Le persone sono state invitate ad interagire con i cubi e a disporli nello spazio come meglio credevano. Se gli adulti hanno utilizzato i cubi semplicemente come seduta, è con l’azione dei bambini che il progetto ha mostrato al meglio il suo potenziale di aggregazione e interazione sociale. I bambini, infatti, con la loro creatività, hanno cominciato utilizzare i cubi non tanto per sedersi, ma per giocare ad impilarli e a creare diverse configurazioni spaziali. I bambini hanno così coinvolto altri passanti (adulti e meno adulti) che si sono fermati ad interagire con questi piccoli elementi urbani e a creare momenti di socialità in una piazza prima inutilizzata. Scattando foto o semplicemente a chiacchierando. Dimostrando che anche un piccolo intervento urbanistico come SOS può sprigionare spontanei momenti di socialità e interazione. Un progetto semplice, facilmente replicabile. Eppure, efficace.

 

Dagli esempi di placemaking riportati, risulta evidente che non è tanto la dimensione dell’intervento a trasformare spazi che dividono in luoghi che uniscono. La chiave, in questi processi di rigenerazione, è il coinvolgimento attivo delle persone, la partecipazione dal basso. È la capacità di stimolare momenti di interazione, socialità, gioco o semplicemente incontro fra le persone.

Un intervento di Placemaking riuscito deriva dalla capacità di pensare lo spazio non come elemento urbano da riempire, ma come luogo da restituire alle persone che vivono la città o il quartiere. È per questo che amministratori e brand che intendono avviare processi di rigenerazione urbana non possono esimersi dall’ascolto del territorio, delle persone che vivono quei luoghi.

 

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PER APPROFONDIMENTI

Spazio Pubblico – Enciclopedia Treccani

SOS_Socializing for Seating – Research Gate

Placemaker – Elena Granata

CWLane Reading Spaces – UrbaNext

Watersquare Benthemplein – De Urbanisten

What is Placemaking – Project for Public Spaces (PPS)